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Capitolo Metropolitano

Consistenza: 170 buste

Unità archivistiche descritte: 1500 ca

Criteri adottati: ISAD (G): General International Standard Archival Description

STORIA

I collegi di chierici componenti i Capitoli delle Cattedrali furono enti religiosi di notevole importanza non solo nella storia della Chiesa ma anche in quella delle città. Il ruolo di primo piano dei canonici si evince anche dalla ricchezza dei paramenti sacri da loro indossati, a volte senza consenso papale, simili agli ornamenti dei cardinali romani.

Per Salerno quattro importanti bolle pontificie testimoniano la conferma di tale privilegio. Nella prima, del 14 marzo 1169, papa Alessandro III (1159-1181), oltre ad assicurare a Romualdo II Guarna arcivescovo di Salerno (1153-1181), e ai suoi successori, l’estensione della metropolia sui vescovati di Capaccio, Policastro, Marsico Nuovo, Nusco e Sarno, confermò ai primiceri e ai diaconi della Chiesa salernitana l’uso della mitra, secondo le antiche consuetudini, come già concesso dai Pontefici romani suoi predecessori. Tale prerogativa fu confermata con la stessa formula da Lucio III (1181-1185) con bolla del 25 settembre 1183 e il 18 gennaio 1207 da papa Innocenzo III (1198-1216), su preghiera dell’arcivescovo Niccolò d’Ajello (1181-1222), e ancora il 22 maggio 1255 da papa Alessandro IV (1254-1261). I sacerdotes a cui fecero riferimento i pontefici possono essere identificati con i membri del Capitolo della cattedrale. Va però segnalato che le bolle di Alessandro III e di Lucio III presentano una problematicità riguardo la loro autenticità, data la presenza di una f che sta a indicare falsum, sul verso del documento, apposta da un archivista non conosciuto del XIII sec.

Per quanto attiene i membri della congregazione capitolare, il primo presbitero cardinale che possiamo considerare membro della Chiesa madre salernitana è un tale Iohannes presbiter et cardenarius ipsius archiepiscopii che compare nell’agosto 1021, anche se per tutto l’XI secolo le informazioni sul Capitolo metropolitano di Salerno sono estremamente esigue e solo dal XII secolo le notizie si incrementano. Particolarmente importante è il documento del luglio 1193 del conte Riccardo d’Ajello, fratello dell’arcivescovo Niccolò, con il quale cedette a favore della Frateria della Chiesa salernitana degli immobili tra cui alcune botteghe per il macello, che il conte possedeva in città, stabilendo che la Frateria avrebbe posseduto tali beni perennemente senza che nessuno potesse obbligare a venderli o a pignorarli. Il diritto allo jus scannagii fu una importante fonte di reddito per la Chiesa salernitana, privilegio confermato anche da Federico II e in seguito dai sovrani angioini, che rimase di competenza della Chiesa fino al 1800.

La sempre maggiore importanza e i poteri che i Capitoli delle Cattedrali avevano conseguito nel corso del XII secolo è dimostrata dalle costituzioni emanate dal IV Concilio Lateranense, spesso volte a ridimensionare i privilegi e le prerogative che sfuggivano al controllo dell’autorità pontificia. Vengono, infatti, disciplinate con maggior minuzia di quanto fosse avvenuto in precedenza i compiti dei canonici e le procedure per l’elezione vescovile. Inoltre, dal XIII secolo in poi venne sempre più delineandosi una separazione tra patrimonio diocesano, con a capo il presule, e patrimonio capitolare, divisione nata per l’introduzione del sistema prebendario. A partire dalla seconda metà del XIII secolo il privilegio capitolare di eleggere il vescovo della città iniziò a venir meno per la sempre maggiore ingerenza papale, che puntava ad assicurarsi prelati di fiducia nei luoghi chiave delle diocesi. A Salerno l’intervento pontificio si fece sentire quando sorsero contrasti all’interno del Capitolo per la scelta del nuovo presule. Dagli inizi del XIV secolo la scelta dell’arcivescovo pare definitivamente avocata dalla Santa Sede. Tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna le rendite del Capitolo diminuirono notevolmente, tanto è vero che sia Martino V (1417-1431) sia Paolo V (1605-1621), su richiesta degli arcivescovi di Salerno, intervennero per sanare le finanze del Capitolo attraverso l’annessione dei benefici ecclesiastici atti a migliorare le condizioni economiche del collegio e dei suoi membri e la riduzione in massa comune delle rendite complessive.

In età moderna i problemi del Capitolo non si riscontrano solo sotto l’aspetto economico, ma anche nei rapporti con gli arcivescovi: infatti tra il 1560 e il 1561 il collegio dei chierici si rivolse a Papa Pio IV (1560-1565) perché fosse informato sulle prerogative del Capitolo salernitano, a seguito delle prescrizioni dell’arcivescovo Geronimo Seripando (1554-1563), imposte con motu proprio dallo stesso pontefice.

Una più chiara definizione dei compiti e delle funzione degli enti capitolari nel Mezzogiorno, si rileva, alla fine del XVIII secolo, dalla compilazione degli statuti da sottoporre al Regio assenso.

A Salerno gli statuti furono redatti su richiesta del Capitolo nel novembre 1798 da Monsignor Salvatore Spinelli (1797-1805) insieme ai canonici deputati Luigi Maza e Scipione Bassi. Il regio assenso di Ferdinando IV fu concesso nel 1804 e riportato in appendice al testo a stampa della Sinodo diocesana, che si era tenuta nel 1803. In esso si elencano le varie dignità dei membri del collegio canonicale, i relativi compiti e i privilegi di antica consuetudine; specialmente si ribadì la vicinanza dei canonici capitolari ai cardinali romani, dimostrata dal titolo di cardinales che da tempo i chierici portavano e dai paramenti sacri indossati durante le sacre funzioni e le processioni: la mitra, il rocchetto, la cappa e la mozzetta. Tutto ciò nonostante pochi anni prima, nel 1785, fosse sorto un contenzioso tra i canonici e l’arcivescovo Giulio Pignatelli (1784-1796), il quale aveva ritenuto sconveniente che i primi procedessero a capo coperto dalla mitra durante la processione del Corpus Domini.

Gli statuti dello Spinelli si trovano ancora rispettati agli inizi del XX secolo come riporta nell’aprile del 1909 il Visitatore Apostolico Giuseppe Vizzini che, ancora una volta, sottolinea i privilegi della congregazione salernitana. Tra XIX e XX secolo i Capitoli cattedrali persero praticamente del tutto il prestigio di cui avevano goduto nei secoli precedenti. Le leggi eversive soppressero del tutto i Capitoli collegiati, mentre quelli cattedrali furono mantenuti in vita, consentendo però un massimo di 12 membri. Non fu riconosciuto il carattere di parrocchialità al Capitolo e i benefici capitolari furono sottoposti a procedure giudiziarie statali, istituendo una tassazione sui passaggi di usufrutto dei beni che li componevano.

Anche il codice di diritto canonico del 1917 si interessò ai cambiamenti intervenuti e disciplinò il nuovo aspetto dei Capitoli metropolitani che continuarono ad avere fisionomia giuridica, come confermato dai Patti lateranensi del 1929, i quali liberarono i collegi anche da alcune pesanti disposizioni approvate dalle leggi post-unitarie.

Nel 1983 Papa Giovanni Paolo II, accogliendo i risultati del Concilio Vaticano II, emanò un nuovo codice di diritto in accordo del quale nel febbraio 1985 il Capitolo metropolitano di Salerno redasse i nuovi statuti.

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